Freschi di visione dell’attesissima serie di Sky / HBO basata sul videogioco The Last of Us vogliamo da subito portarvi i nostri pareri, sia di chi è palesemente influenzato dall’aver giocato il titolo PlayStation che di chi ne è quasi all’oscuro.
Parliamo del primo episodio
Partiamo proprio dal parere di Sapphire, che essendo boxaro, non si è giocato The Last of Us e approfitta della serie Sky per recuperarlo.
Visto rigorosamente in lingua originale con i sottotitoli in italiano il primo episodio di The Last of Us la serie Sky si potrebbe di fatto suddividere in due parti. La prima parte è ambientata nel 2003: una misteriosa epidemia si sta pian piano diffondendo facendo impazzire le persone e rendendole violente. Joel vive nella zona periferica in un tipico quartiere americano a bassa densità di popolazione assieme alla figlia. Sebbene vi siano pochi minuti a disposizione il rapporto tra i due è ben delineato, complice l’ottima recitazione di Thandiwe Newton: vi dico che non ci si impiega molto ad entrare in empatia con Pedro Pascal, dimenticandosi di Narcos e facendosi trasportare dal precipitare della situazione. La conclusione di questa prima parte è tosta da digerire: il crescendo d’ansia sfocia nella tragedia lasciandoci tanto amaro nel cuore.
Nella seconda parte sono ormai passati 20 anni, Joel è invecchiato, Pedro Pascal vede qualche linea di grigio nei folti capelli neri, anche le rughe sembrano più scavate. Dopo i primi minuti spaesanti la narrazione riparte sulle basi dell’azione, mettendo le basi per quella che sarà una lunga traversata dell’America alla ricerca di Tommy, il fratello tanto amato anche dalla nipote Sarah. Il mondo post apocalittico è ricreato in maniera eccezionale, estremamente dettagliato, ma la cosa più grandiosa di questa parte dell’episodio sono le diverse luci che accompagnano il giorno e la notte in una commistione che ricrea un’atmosfera da videogioco, senza che vi sia alcuna forzatura. La situazione appare sin troppo alienante e forse – complice il calo di tensione – ci si perde un pò nella parte centrale salvo poi ricrearsi quel piacevole senso di ansia che porterà fino al termine dell’episodio. Siamo solo al prologo, ma le basi per una grandissima serie TV ci sono tutte.

Il parere di un “Sonaro”…
La parola passa a FcFrank, grande appassionato della serie The Last of Us, fresco di aver rigiocato recentemente il primo capitolo.
Per quanto mi riguarda, il primo episodio della serie The Last of Us mi ha lasciato soddisfatto. Sapevamo già che la trasposizione dal videogioco fosse fedele, e così è stato. Non a caso ad accompagnare Craig Mazin nella stesura della sceneggiatura c’è proprio Neil Druckmann, writer di The Last of Us Part I e Part II. Questa fedeltà non si rispecchia solo nella scrittura della serie, bensì anche in altri aspetti, come la regia. Le inquadrature, così come in generale molte sequenze, sembrano le cutscene del videogioco, mi viene in mente la sequenza all’interno del pick-up con Joel, Tommy e Sarah.
A livello narrativo, la storia è leggermente ampliata, vengono aggiunti alcuni particolari che non sono presenti all’interno dell’opera originale, come la scena in cui Sarah porta a far riparare l’orologio del padre. Di modifiche alla trama ne sono state apportate, molto leggere a dire la verità, e per il momento non mi hanno fatto storcere il naso. I personaggi principali, grazie alla trasposizione a serie televisiva e alla conseguente dilatazione della narrazione, sono stati tutti molto approfonditi. Se Tess era una semplice comprimaria, seppur di notevole importanza in The Last of Us, adesso al personaggio è stato dato maggior spessore.

Le prove attoriali di Pedro Pascal e Bella Ramsey mi sono sembrate abbastanza convincenti, ma dovremo attendere il proseguimento della serie per dare un giudizio “definitivo” sull’accoppiata. Dopotutto, non sono stati presenti a schermo entrambi per molto tempo.
Piccola nota di demerito a mio parere è il ritmo dell’episodio, dettato forse da un’eccessiva durata dello stesso, settantotto minuti per una serie TV si sentono tutti. Io avrei spezzato l’episodio in due parti, il primo relativo al “prologo” del 2003, il secondo con il time-skip di vent’anni. L’atmosfera degli Stati Uniti “vent’anni dopo” è esattamente quella del videogioco, così come il feeling con la colonna sonora, ovviamente del maestro Gustavo Santaolalla.
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